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L’ALLIEVO VOLENTEROSO


di Foro_Romano
09.11.2018    |    23.234    |    14 9.5
"Quel pomeriggio stesso il giovane seguì il professore nella sua bella casa..."
(Racconto n. 91)

Arturo, professore universitario, ha 47 anni ed è un tipo alto, robusto, massiccio ma non grasso, dai muscoli tonici e proporzionati. Un leggero strato di barba gli incornicia il volto dalla mascella volitiva che contrasta con la sua testa completamente rasata. E’ ancora un uomo molto, ma molto piacente e virile e lui lo sa ma non se ne cura più di tanto. Da quando si è separato dalla moglie, da cui ha avuto due figli, e dopo una lunga relazione con un’altra compagna aveva preferito mettere in soffitta ogni interesse sessuale e dedicarsi esclusivamente al suo lavoro, molto più prodigo di soddisfazioni e senza tante rotture di coglioni. Nulla potevano i messaggi più o meno velati che gli venivano lanciati da colleghe, impiegate della facoltà e persino da studentesse.
A parte una piccola ma importante sbandata, si era adattato ad una vita organizzata e piena di impegni, tra la facoltà e le relazioni ai vari convegni e congressi, molto produttiva ma, tutto sommato, monotona. Un giorno, però, vide per la prima volta quel suo nuovo studente, che poi saprà chiamarsi Paolo. Già dalla prima lezione sentiva che gli aveva mosso qualcosa dentro. Ma cos’era? Perché? Che aveva di speciale quell’esserino che, specialmente nei primi mesi, sembrava così spaurito?
Paolo era piccolino, magro, dimostrava meno dei suoi anni da studente del primo anno di università. La testa piena di riccioli rossi, un visino maschile ma decisamente fanciullesco impreziosito (bisogna ammetterlo) da due meravigliosi occhi verdi, dolci ed innocenti. Nulla nel suo aspetto o nei suoi modi di fare faceva intendere possibili tendenze omosessuali, piuttosto induceva alla tenerezza. Sembrava quasi un bambolotto di peluche come quelli coi quali sembrava aver giocato fino al giorno prima.
Però non era stupido, anzi. Seguiva sempre con interesse le sue lezioni e, dalle domande che poneva, mostrava essere attento e di apprendere facilmente la materia. Aveva però un qualcosa che lo distingueva dalle centinaia di altri studenti che Arturo aveva avuto negli anni. Ma che cosa?
Di fatto, sin da quel primo giorno, il docente non riusciva quasi mai a distogliere lo sguardo da lui, quasi che fosse l’unico astante che avesse. Si accorse che anche il ragazzo lo osservava con un’aria diversa da quella degli altri. Spesso i loro sguardi si erano incrociati per troppi, interminabili secondi.
Insomma, il maturo Arturo rimase scombussolato da quel ragazzino dell’età dei suoi figli e non riusciva a spiegarsene il motivo. Eppure… eppure da quel primo giorno, quando la sera andava a coricarsi, quando si sentivano più presenti certe esigenze, il pensiero andava al piccolo, dolce Paolo. Allora la mano scendeva ad accarezzare il cazzo, a renderlo duro, a massaggiarlo, a masturbarlo. Le lussuriose immagini che gli venivano in mente lo vedevano possedere con forza quel tenero corpicino, in tutte le posizioni, penetrarlo in maniera sconsiderata, violentemente e senza sosta fino a riempirlo del suo seme, svuotandosi i coglioni fino all’ultima goccia, per poi ritrovarsi imbrattato fino al collo od a sfogarsi col suo solito passatempo. Svuotato ma insoddisfatto o, piuttosto, arrabbiato con sé stesso per aver avuto certi pensieri perversi che non avrebbe nemmeno mai immaginato di avere.
Tutto questo, però, doveva rimanere nella sua sfera privata. In fin dei conti era un uomo intelligente e non un animale. Passarono così alcuni mesi finché un giorno, dopo una lezione, il ragazzo lo avvicinò e gli disse che aveva bisogno di parlargli. Nulla di strano: molti studenti hanno dubbi sulla materia, sullo sviluppo degli studi, sull’indirizzo da intraprendere, sulle date degli esami e cose simili. Così lo condusse nel suo studio al dipartimento.
Appena entrati si accomodarono ma non riuscivano a dirsi nulla perché entravano continuamente studenti a chiedere qualcosa finché Paolo riuscì a dire:
“Sa… professore… si tratta di una cosa… personale”.
Arturo rimase un po’ interdetto. Capiva che si trattava di qualcosa di grave ma… personale! Non era mica un prete con cui confessarsi! Comunque rispettò il desiderio dello studente, andò alla porta e la chiuse a chiave. Cosa poteva essere di così riservato? Già quel ragazzo lo metteva a disagio, ci mancava anche questa a rendergli difficile la giornata.
“Dimmi Paolo. Che c’è di tanto importante?”.
“Ecco… Io… Non ce la faccio più, devo dirglielo e la prego di non interrompermi. Ecco, io… io… sono innamorato di lei. Ecco! L’ho detto! Sin dal primo giorno che l’ho vista mi sono innamorato. Non faccio altro che pensare a lei, giorno e notte. Anzi… proprio la notte… ecco… mi masturbo pensando a lei. Si, penso a lei che mi prende e mi scopa con forza, come piace a me. Non resisto. Dovevo dirglielo. Non mi importa delle conseguenze. Mi bocci pure all’esame ma dovevo dirglielo”.
Il silenzio più pesante calò nella stanza. Arturo era rimasto immobile, incredulo per quello che aveva sentito, e Paolo, con le lacrime agli occhi, aveva paura della reazione ma si sentiva finalmente liberato da quel peso. Fu lui, comunque, a prendere di nuovo l’iniziativa. Si alzò, fece il giro della scrivania e si mise in ginocchio davanti al suo professore, come ad implorarlo. Allungò una mano sulla patta dei pantaloni, la strofinò un po’ poi lo fece col suo viso, quasi ad asciugarsi le lacrime sulla stoffa. Slacciò quindi la cinta, aprì il bottone, scese la lampo, allargò l’elastico delle mutande e prese possesso di quella che, nel frattempo e senza alcuna intenzione, era diventata una mazza enorme e durissima.
Arturo, sempre immobile, incredulo per quello che il ragazzino stava facendo ma anche perché lui glielo lasciava fare ma il motivo era chiaro: il suo cazzo parlava per lui. Completamente rigido, solcato da infinite gonfie vene che lo rendevano simile ad un nodoso tronco d’albero.
Il giovane, senza pensarci due volte, lo fece sparire in bocca, prima la grossa cappella poi, pompando sempre più veloce, cercò di prendere dentro sempre più centimetri dell’asta, ingozzandosi senza ritegno. Arturo gli mise una mano sulla testa per accompagnarlo, le dita immerse tra i suoi ricci. Ansimava, gemeva. Le morbide labbra scivolavano umide di saliva mentre la linguetta faceva il possibile per aggrovigliarsi come l’edera a quel tronco. L’uomo vibrava di piacere mentre il ragazzo continuava ad infierire col suo pompino da capolavoro. Si piegò in avanti.
“Basta, ti prego, basta, fermati” ma non si fermarono né quella meravigliosa bocca e né la mano che accompagnava quella testolina. Gli bastò che Paolo lo guardasse dal basso, con i suoi meravigliosi occhi e con la bocca piena di cazzo, che…
“Che troia che sei! Sei una puttana, una vera puttana… Non resisto… non resisto più… non… Vengooo” gettò la testa all’indietro ed una valanga incontenibile di calda crema virile inondò la bocca del ragazzino che fu subito pronto ad ingoiarla tutta, voracemente, affamato dopo una lunga astinenza.
Passarono lunghi secondi di immobilità. Il cazzo perse lentamente consistenza pur mantenendosi barzotto finché, con un ultimo risucchio, riuscì fuori e riprese aria. Il giovane lo ripulì completamente con la lingua ed alzò di nuovo lo sguardo verso di lui. Questa volta esprimeva una felicità indicibile ed un bellissimo sorriso lo illuminò. Si alzarono in piedi. La differenza di altezza era evidente. Uno si ricompose, richiudendosi i pantaloni, e l’altro si leccava le labbra umide di sperma, in modo innocente e perverso nel contempo. Poi si abbracciarono, forte.
“Paolo, anche io devo dirti che ho provato la stessa cosa dal primo giorno. Credo che il nostro è stato un colpo di fulmine”. Con una certa titubanza aggiunse: “Ti amo anch’io” e gli accarezzò i capelli sulla tempia.
“Vuoi essere mio?”.
“Sarò SOLO tuo”.
Quel pomeriggio stesso il giovane seguì il professore nella sua bella casa. Fecero finta di parlare degli studi per una lunghissima mezz’ora finché la domestica se ne andò. Poi si lasciarono prendere dalla passione. Raggiunsero il letto, si spogliarono frettolosamente, anche aiutandosi l’un con l’altro e si gettarono sdraiati, abbracciati in un bacio famelico. La grossa lingua dell’uomo fece da padrona nella piccola bocca di adolescente, in quell’antro umido, tra quelle morbide labbra dalla poca esperienza.
Il ragazzo perse la cognizione della realtà e si sentì come sciogliere e trasportare in un’altra dimensione, fatta di gemiti e di passione. Quasi non si accorse di una grossa mano che andò a strizzare con forza il suo sederino, coperto di una leggera nuvola di peletti rossi. Quasi non si accorse neppure di un dito che andava cercando il suo buchino fremente, mentre il cazzo dell’uomo, turgido e duro come l’acciaio, andava ad intrufolarsi tra le sue cosce. L’uomo, invece, si andò presto trasformando in un animale feroce, avido di azzannare la sua preda ma senza fargli troppo male, come a proteggerlo e divorarlo nel contempo.
Presto si ritrovarono su un fianco, sempre avvinghiati ma sdraiati l’uno all’opposto dell’altro, in un 69 di passione. Uno stringeva tra le piccole mani la grossa asta venosa mentre se la leccava e succhiava con avidità. Tutte e due le mani, per poterla tenere saldamente. L’altro raggiunse col viso le teneri, rosee, profumate chiappette. Le allargò per ammirare la rosellina che boccheggiava dal desiderio e la ricoprì con la sua lingua, avida, prepotente, rasposa, per coprirla di saliva, di baci e di saliva, di piccoli risucchi e di saliva. Doveva essere ancora più tenera e pronta ad essere aperta all’assalto dell’amante.
Prima che fosse troppo tardi, il maschio si staccò da quel contatto, sottraendo l’uccello al desiderio del ragazzo, che non nascose la delusione dalla mancata nuova bevuta di sperma. Qualcosa di meglio lo aspettava. Venne rovesciato di schiena come un fuscello. Gli furono alzate le gambe fin sulle spalle dell’uomo. Gli furono afferrate saldamente le chiappe, con i pollici che gli allargavano oltremodo la sua parte più intima e gli venne puntato contro quel grosso palo di carne purpurea.
“Sto per entrarti dentro, puttana. Vuoi che ti scopo con forza, come si deve ad una lurida cagna come te? Dimmi, è così che lo vuoi?”
“Si… signore” sospirò in segno di resa incondizionata.
“Bene. Eccoti accontentato”. Con una potente spinta affondò la cappella ed il cazzo per un bel pezzo, lacerando il muscolo anale. La mano a tappargli la bocca per contenere le urla. Ci vollero altre due spinte perché tutto sprofondasse fino alle palle, fino al folto pelo dell’inguine, spanandogli le budella.
Si fermò un attimo. Gli occhioni sbarrati lo fissavano pieni di lacrime. Mostravano tanto dolore ma, non appena cominciò a sentirlo muoversi lentamente dentro di sé, lo sguardo si trasformò in piacere, puro piacere.
“Siii… Ahhh… Siii… Forte… Siii… Più forte… Più forteee…”, mentre la velocità della scopata andava sempre più aumentando.
“Ohhh… Uhhh… Ti rompo il culo, piccola troia… Ti piace, puttana?... Ti piace, zoccola?... Sei una troia… Una grande troia rottainculo… Prendilo… tuttooo…”
“Siii… Siii… Ancora… Ancora…”
Andarono avanti così per un bel po’. La monta divenne sempre più selvaggia. Il turpiloquio sempre più pesante. Il buco sfasciato sempre più arrossato. Il canale slabbrato non poneva più alcun attrito, sempre più viscido di umori. Finché
“Si… Si… Godooo… Ahhh… Signore, godooo…”
Ancora spinte e: “Ecco… Ecco… Ti riempio di sborra, troia mia… amore mio… Vengooo… Sei miooo… Miooo… Ahhhrrrghhh… Put…ttta…naaa…” Continuò a spingere fino all’ultima goccia, fino a che non si ammosciò un poco. Si lasciò andare sopra di lui con tutto il suo peso, stringendolo forte a sé.
Poco dopo si distese di schiena al suo fianco facendo grandi respiri per riprendere fiato. Il ragazzo gli si accoccolò sotto l’ascella, col braccio poggiato sul grande torace peloso, che poi prese ad accarezzare con le piccole dita. Ammirava la perfetta fusione tra peli bianchi e neri. Erano così erotici!
L’uomo, come uscendo da un pensiero, gli accarezzò la mano e disse: “Scusa, scusami tesoro”.
Il ragazzo non capiva. “E di cosa?”
“Che… Ecco… Che sono stato troppo violento, che ti ho trattato da puttana, ma in quei momenti io non capisco più niente e così… mi sono lasciato trascinare dalla voglia di… di…”
“Fottermi, voleva dire? Ma è stato meraviglioso proprio per questo. Mi piace sentirmi tanto desiderato. Ed è stato proprio nel darle tutto questo piacere, nel sentirmi dire tutte quelle cose oscene, nel appagare i suoi istinti che io provo il massimo del piacere e quasi non sento il dolore che mi provoca. Mi piace essere sottomesso, essere usato per i suoi sfoghi”.
Lo guardò intensamente con quei suoi bellissimi occhi. Incredibile! Dopo quello che aveva fatto, dopo quello che aveva subito, i suoi occhi erano sereni e… sempre così innocenti!
“Dici davvero, Paolo? Vuoi dire che posso prenderti ogni volta che voglio? Ovunque siamo?”
“Si, io la amo e può fare di me quello che vuole, anche la sua puttana… E lo voglio anche io”.
Si strinsero forte, si accarezzarono, si baciarono con tenerezza.
“Ti amo anche io, cuccioletto mio. Ma smettila di darmi del lei. Ora sei parte di me”.
“Ok, sarà difficile ma ci proverò. Anche perché in pubblico sei sempre il mio professore e non vorrei far capire a tutti il nostro rapporto. E poi… sarà sempre perché mi piace sentirmi sottomesso”.
Risero e cominciarono a farsi il solletico, a cui il ragazzo era particolarmente sensibile. Ma, a forza di giocare, si risvegliarono le voglie. Il cazzo tornò grosso e duro e pian piano le loro facce tornarono serie e furono ancora travolti dalla passione. Il giovane prese in mano la bella minchia del suo amante, la soppesò, abbozzò una piccola sega, ma gli fu sottratta. Venne messo a pecorina e, in un attimo, gli sprofondò dentro, favorito dall’umidità della precedente sborrata. Le urla di dolore/piacere vennero soffocate nel lenzuolo. Venne montato come un coniglio, senza soluzione di continuità. Si sentivano le sferzate degli affondi sulle sode chiappette, lo sciacquettio degli umori rettali, l’odore di sesso e sperma che offuscava l’aria ed i sensi.
“Dunque ti piace così, vero troia?”
“Si… si… così…”
“Sei una puttana… Un buco svuotacoglioni… Un frocio rottinculo… Un… Un… Ohhh… Ohhh… Aaahhhhh… Sborrooo…” e un altro carico succoso si riversò nell’intestino del giovane provocandone la gioia, il piacere, il godimento, la sborrata sul letto.
“Vedrai, tesoro, quanta ancora te ne darò, in bocca e in culo. Vedrai” disse quel favoloso maschio mentre si sfilava lentamente da lui. Così fu ed è ancora oggi, dopo anni.

(Il presente racconto, essendo di carattere erotico, ha lo scopo di eccitare i nostri istinti animali ma non per questo va preso alla lettera. Le stesse cose si possono fare con le dovute precauzioni. Non fate mai sesso senza preservativo: non rovinatevi la vita ma godetevela tutta).
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